
Il Passaggio Generazionale nell’azienda vitivinicola: Rischio o Opportunità?
Intervistiamo l’avvocato Marco Giuri, fondatore dello Studio Giuri Avvocati Associati, esperto di diritto vitivinicolo e di privacy.
Il passaggio generazionale nelle aziende vitivinicole ha un impatto significativo non solo sulla famiglia proprietaria, ma anche sul management e sui collaboratori diretti.
Questa fase di transizione può generare sia opportunità che sfide per l’organizzazione nel suo complesso, influenzando la motivazione, la produttività e la stabilità dell’azienda.
Quali sono, secondo lei, i rischi più frequenti e gli errori che le famiglie più spesso possono compiere?
Questo tema interessa moltissime aziende vitivinicole italiane, le quali sono spesso e volentieri a “conduzione familiare”. Anche quando si parla di aziende più note e importanti, spesso incontriamo l’impronta fondamentale della famiglia a caratterizzare la gestione dell’azienda e a rendere “speciale ed unica” ogni bottiglia, rispetto alle produzioni più industriali.
Innanzi tutto, ritengo sia corretto affrontare questo tema parlando di “passaggio” come una “transizione” un passaggio di “testimone”.
Nella corsa a staffetta, il testimone rappresenta un bastoncino che viene trasmesso da un atleta all’altro, nella stessa squadra, nell’ambito di una competizione. Ogni atleta nel percorso che svolge cerca (testimone alla mano) di rendere il meglio. Ogni passaggio generazionale dovrebbe avere come meta la possibilità di rendere il testimone (l’azienda) alla generazione successiva con qualche miglioramento ed innovazione o almeno con una gestione oculata e di buona conservazione per le generazioni a venire.
Il passaggio generazionale rappresenta uno dei momenti più delicati e critici nella vita di un’impresa vitivinicola, con la conclusione di un percorso composto da un insieme di fasi che si svolgono in un periodo che può anche durare decenni; inizia quando i figli sono ancora in giovane età e decidono gli studi o il percorso di formazione da intraprendere; continua, di norma, con un lungo periodo di convivenza tra genitori e figli; termina quando la nuova generazione assume il controllo e la gestione concreta dell’azienda con un nuovo assetto proprietario in capo ai successori, e un nuovo assetto nel governo e nella direzione dell’azienda.
Tra gli errori più comuni e frequenti si riscontra spesso il mancato rispetto di queste tempistiche cui ho appena fatto cenno. I motivi sono molteplici, ad esempio i fondatori di un’azienda faticano a staccarsi dalla loro “creatura” o, al contrario, le nuove generazioni non manifestano la medesima passione dei loro predecessori, ipotesi che non deve e non può scandalizzare ma che deve essere valutata nel passaggio generazionale che potrebbe non avvenire o realizzarsi con modalità diverse.
Non considerare questi fattori, significa imbattersi in una mancanza di pianificazione strategica adeguata.
Un altro rischio che molte aziende vitivinicole affrontano è la resistenza al cambiamento.
Le tradizioni e le pratiche consolidate nel tempo sono spesso viste come il cuore dell’identità dell’azienda. Ed è vero che i valori su cui si fonda un’azienda sono le fondamenta ed il cuore di un’impresa.
Tuttavia, la nuova generazione (pur identificandosi negli stessi valori) potrebbe avere una visione diversa, magari più orientata all’innovazione, all’adozione di nuove tecnologie o a cambiamenti nel modello di business. Il rifiuto di adattarsi ai cambiamenti del mercato, pur mantenendo intatti i metodi tradizionali, può compromettere la competitività dell’azienda. In questo contesto, il timore di “perdere la tradizione” può frenare l’evoluzione necessaria per far fronte alle sfide del futuro.
Non di meno, talvolta, si assiste al rischio di non gestire adeguatamente gli aspetti finanziari del passaggio generazionale. Molte famiglie si concentrano sulle questioni familiari e trascurano la pianificazione fiscale o la divisione delle quote aziendali.
L’impatto può essere sugli aspetti strategici come sullo stile di leadership, suoi ruoli del management soprattutto vicino alla proprietà uscente che possono essere rivisti.
Quali sono da questo punto di vista i rischi più ricorrenti e quanto un inserimento di un consulente o di un manager può aiutare la transizione?
Parlando giustamente di strategia, nelle aziende vitivinicole, come in qualunque altro genere di impresa, non adottare o non sapere riconoscere la migliore strategia manageriale per la specifica realtà coinvolta, rappresenta da sempre uno dei principali “autogol” delle aziende.
Per evitare questo rischio, il supporto di consulenti e professionisti può essere un aiuto favorevole , soprattutto se interpellati in un’ottica preventiva. Talvolta questa condotta prudente rappresenta la scelta più salvifica per la vita dell’impresa.
L’iniziativa di professionalizzare l’azienda, invece, affidando la leadership ad un manager esterno, t è uno scenario che offe spesso numerosi vantaggi, ad esempio un amministratore delegato non-familiare può portare nell’impresa un talento manageriale superiore, non necessariamente sempre presente in tutte le generazioni familiari.
Un CEO esterno potrebbe, inoltre, essere percepito come un’opportunità di miglioramento, di competenza ed un incremento alla volontà di crescita dell’impresa, apprezzabile anche all’esterno.
Al contrario, quando i successori appartenenti alla famiglia proprietaria risultano essere ben motivati e ambiziosi di crescere, oltre che competenti, senza conflitti familiari, potranno portare avanti con successo la storia, la fiducia e un senso di protezione nella qualità di quel prodotto, frutto di generazioni.
Altra situazione, direi idilliaca, si ha quando l’azienda familiare presenta una proprietà competente, lungimirante e visionaria, affiancata da manager o AD di alto spessore: in questi casi la formula è vincente e non esistono rivali o difficoltà che possano abbattere la squadra.
Non esiste dunque una risposta univoca su quale sia la scelta migliore da consigliare, si tratta – appunto – di adottare una strategia che, come un abito sartoriale, deve essere cucito addosso dai migliori esperti e condiviso con la proprietà.
Da questo punto di vista, ripeto, un momentaneo supporto di consulenti e professionisti potrebbe essere sicuramente vantaggioso (anche in termini di risparmio di tempo nelle scelte piu’ giuste).
In che modo può inserirsi la nuova generazione nella gestione dell’azienda? Esistono delle soluzioni chiare, mirate a supportare entrambe le parti coinvolte in questa fase transitoria?
Innanzitutto, mi preme segnalare che il ricambio generazionale nel settore vitivinicolo rappresenta una priorità anche nell’agenda politica dell’Italia e dell’UE ormai da tempo. Anche il Piano strategico previsto per il triennio 2023-2027 per la PAC dell’Italia ripropone, a questo proposito, la strategia per sostenere ed attrarre i giovani in agricoltura. In particolare, è previsto un Sostegno alla cooperazione per il rinnovo generazionale: l’intervento è diretto proprio a favorire l’affiancamento e la cooperazione tra agricoltori ultrasessantacinquenni o pensionati e i giovani (tra i 18 e i 40 anni), non proprietari di terreni agricoli, allo scopo del graduale passaggio della gestione dell’attività di impresa agricola ai giovani.
Esiste da alcuni anni persino uno strumento giuridico denominato, contratto di affiancamento che, in sintesi, non può avere durata superiore a tre anni ed è da allegare al piano aziendale presentato all’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (Ismea). In questo lasso di tempo l’imprenditore si impegna a trasferire al giovane le proprie competenze nell’ambito delle attività e, a sua volta, il giovane si impegna a contribuire direttamente alla gestione, anche manuale, dell’impresa apportando anche innovazioni tecniche e gestionali necessarie alla crescita della stessa.
La stipula di questo contratto comporta la ripartizione degli utili che porterebbero al giovane una percentuale tra il 30 e il 50 per cento. Include, inoltre la possibilità di accedere a mutui a tasso zero per gli investimenti, della durata massima di 10 anni.
Uno strumento utile allo scopo di cui parliamo è sicuramente il c.d. patto di famiglia: il proprietario dell’impresa può garantire continuità aziendale, “scegliendo” e premiando per la successione il figlio che ritiene più meritevole e più adatto imprenditorialmente, ovvero designare anche un terzo (nel caso in cui i figli o il figlio non vengano ritenuti idonei a subentrare all’imprenditore).
Questo istituto (molto utilizzato nel settore vitivinicolo) è stato introdotto nel nostro ordinamento nell’anno 2006 al fine di facilitare il passaggio generazionale dell’azienda. Il patto di famiglia è il contratto con cui l’imprenditore fa succedere anticipatamente alla proprietà dell’azienda i figli, nipoti, ecc… Il trasferimento può riguardare non solo un’azienda, ma anche la proprietà di quote sociali. Il contratto di patto di famiglia dà vita a una deroga del divieto di patti successori, avviene per atto pubblico davanti al Notaio e consiste in una sorta di eredità anticipata.
Una soluzione che sta funzionando molto bene negli ultimi anni sono le “holding di famiglia”: sono entità giuridiche strategicamente utilizzate per la gestione e la protezione del patrimonio familiare. Si tratta di un modello societario controllato dai componenti di uno stesso nucleo familiare e che offre vantaggi in termini di efficienza fiscale, protezione dei beni e governance aziendale. Attraverso una holding familiare è possibile contribuire alla continuità generazionale, alla diversificazione degli investimenti e al consolidamento delle risorse di famiglia, garantendo anche una maggiore flessibilità nella gestione delle attività economiche.
Spesso l’inserimento di nuove generazioni ostacola o impedisce la crescita di ruolo del management.
Ci sono possibili soluzioni a queste possibili sovrapposizioni di ruolo?
L’inserimento delle nuove generazioni in azienda può causare conflitti di ruolo con il management, ma esistono diverse soluzioni per gestirli. È fondamentale definire chiaramente i ruoli e le responsabilità di tutti. Una chiara e corretta segregazione dei poteri e delle funzioni rappresenta un indice di un ottimo grado di organizzazione dell’azienda, apprezzato a tutti i livelli (anche in un’ottica difensiva rispetto alla responsabilità penale-amministrativa degli enti).
La comunicazione aperta e una cultura meritocratica basata sulle competenze sono essenziali per superare le difficoltà e garantire la crescita armoniosa dell’impresa.
La costituzione di un comitato famiglia-management può essere una soluzione alla transizione?
quali possono essere le opportunità di rinnovamento, rivitalizzazione o cambiamento in questo passaggio se ben condotto?
Permettere alla famiglia di compensare le proprie carenze a livello imprenditoriale, come ad esempio il controllo di gestione, le scelte di finanza e di marketing o l’apertura verso mercati internazionali, senza però togliere il controllo sulla decisione finale da parte dei membri del consiglio d’amministrazione, creando un vero e proprio comitato famiglia-management rappresenta un’ulteriore scelta imprenditoriale che tendenzialmente non attenta mai (o non dovrebbe) alla vita dell’impresa, ma anzi facilita il raggiungimento concreto di risultati.
Con questo approccio, la famiglia può avere un consiglio d’amministrazione indipendente, permettendole di non divulgare troppe informazioni sensibili o non attribuendo del potere decisionale a chi effettivamente non fa parte della famiglia, mantenendo dunque il controllo, pur avendo il supporto di individui qualificati che agiscono nell’interesse della società.
La scelta di affiancare alla gestione familiare dell’azienda figure come enologi, enotecnici, agronomi o esperti di marketing nel settore vitivinicolo, con le loro esperienze pregresse maturate nel settore, confermano la buona credibilità dell’azienda, permettendo di orientare positivamente i prodotti, le vendite e dunque la longevità dell’azienda stessa.
Ringraziamo l’Avvocato Giuri per la gentilezza e disponibilità!